TENDENZA
Per trattenere i talenti bisogna imparare a investire nelle persone (economia e società). |
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Roma. Se il mercato del lavoro fosse Twitter, il fenomeno della great resignation sarebbe il trend topic del 2022. Il Bureau of Labor Statistics ha certificato che nei primi sei mesi dell’anno circa 26 milioni di persone hanno lasciato il lavoro nei soli Stati Uniti. Nel 2021, 47 milioni avevano fatto la medesima scelta. Secondo il fact tank Pew Research Center, le dimissioni sono imputabili principalmente a tre ordini di motivi: retribuzione, poche opportunità di crescita e scarso rispetto sul luogo di lavoro (indicate da circa il 60% dei rispondenti come ragione principale o secondaria). Leggermente meno rilevanti le esigenze di cura dei figli (48%) e la poca flessibilità (45%).Sono risultati significativi perché – a parte la retribuzione – non attengono all'hardware del lavoro ma al software. Al software, ovvero alle componenti immateriali e intangibili, si riferisce anche il recente Remote Work Culture Report di Airspeed/ Workplace Intelligence che ha indagato la relazione tra il lavoro da remoto e la qualità delle relazioni tra colleghi. Il dato che sorprende (o forse no?) è che più della metà degli intervistati lamenti di patire una sensazione di isolamento, solitudine o addirittura alienazione (oltre la distanza dalla cultura aziendale) e che si senta per questo rimpiazzabile (61%) e, perciò, spinto a cambiare lavoro. Addirittura il 75% dei C-Suite afferma che persone del proprio team sarebbero pronte a cercare una nuova occupazione pur di sentirsi più coinvolte e partecipi. Anche a costo di fare sacrifici a livello di orari o retribuzione. Ma come? Il remote work non dovrebbe garantire un miglior bilanciamento vita/ lavoro? Non dovrebbe, quindi, avere un impatto positivo sulle persone? Non è tutto oro quello che luccica, anzi. L'affermazione precedente dimentica un aspetto fondamentale: il lavoro, oltre a garantire un'equa retribuzione, fa parte delle attività che permettono la realizzazione di una persona. Non è un caso che in tutti gli studi citati si insista sulla componente software. L'uomo è un animale sociale: il desiderio di condividere e partecipare sono valori a esso connaturati. Dove stiamo andando, quindi? Se prendiamo in esame l'Italia, l'ultima rilevazione Istat dice che nel secondo trimestre 2022 gli occupati sono 175mila in più rispetto al primo trimestre (+0,8%), a seguito della crescita dei dipendenti a termine (+1,6%), ma anche di quelli a tempo indeterminato (+0,8%); diminuisce invece il numero di disoccupati (-4,6% in tre mesi), e degli inattivi (-0,9%). In termini tendenziali, l'aumento dell'occupazione è di +677 mila unità (+3,0% in un anno) ed è forte il calo dei disoccupati (-382 mila in un anno, -16,0%) e di inattivi (-588 mila, -4,4% in un anno). Sembrerebbe un mercato del lavoro strabico. Da un lato, parla di dimissioni di massa e dall'altro di calo della disoccupazione. Invece, è un mercato del lavoro coerente, vivo e in salute e sta lanciando messaggi estremamente chiari: la componente intangibile è quella che le persone cercano e sulla quale basano le proprie scelte lavorative. Non è vero, come talvolta si legge, che i giovani non hanno voglia di lavorare. Al contrario, ne hanno di più delle generazioni precedenti. Cercano, però, il luogo e il modo giusto per potersi esprimere. Questa congiuntura storica segnata da pandemia, guerra e crisi energetica ci sta insegnando, cioè, che non si attraggono o trattengono “lavoratori” ma “persone”, e per farlo bisogna puntare con decisione sui loro talenti e sulla loro crescita. Le imprese lo stanno capendo. Secondo l'Osservatorio semestrale di W-Group, c'è stata un incremento del 30% della domanda di corsi di leadership e self improvement e di percorsi di coaching per le risorse. Investire sul lavoro significa investire sulle persone, in sostanza. Il prossimo governo dovrà tenerlo presente. Certamente sono necessari interventi a sostegno dei redditi per mantenere il potere d'acquisto e il tenore di vita. Bisognerà guardare oltre, però. Incentivando le imprese a costruire un mondo del lavoro soft e capace di favorire lo sviluppo personale. Se questo si verificherà, la dimissioni torneranno a una dimensione fisiologica (spinte anche dal contesto di estrema incertezza) e noi che ci occupiamo di servizi per il lavoro potremo affiancare le imprese e le persone, aiutandole a capitalizzare le indicazioni di questa peculiare fase storica. Redazionale |